Nasce elefantiaco il governo diarchico Netanyahu-Gantz, il quinto della longeva carriera del primo ministro israeliano.
Trentacinque sono i ministeri e settantatré i deputati. Trentacinque del Likud, sedici della coalizione Bianco Blu, nove di Shas, sette di Giudaismo Unito nella Torah, due del partito laburista, due di Derech Eretz, uno di Casa Ebraica e uno di Gesher.
La diarchia non sarà congiunta, ma alternata. I primi diciotto mesi governerà il Divo Bibi, i restanti sarà il turno di Benny Gantz, al quale, il bastone del comando passerà il 17 novembre del 2021 (anche se c’è chi nutre un certo scetticismo sulla futura consegna). Per il momento l’ex Capo di Stato Maggiore si “accontenta” del Ministero della Difesa.
Netanyahu è apparso assai tonico alla presentazione del nuovo governo, e ne ha buoni motivi. E’ di nuovo in sella nonostante fosse stato dato per spacciato dai suoi avversari e potrà, nei mesi venturi, precisamente a luglio, intestarsi un obbiettivo storico, quello della assimilazione del 30% degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria.
Benny Gantz, il quale, inizialmente, aveva posto delle riserve alla futura mossa israeliana sotto l’egida della Casa Bianca, le ha sciolte. Non ci sarà da parte sua alcun ostacolo.
La legalizzazione degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria è una delle cinque priorità definite da Netanyahu alla presentazione del nuovo governo in carica. Le altre quattro sono la lotta alla pandemia, rilanciare l’economia israeliana, continuare a opporsi al tentativo di insediamento in Siria da parte dell’Iran, e contrastare l’incomprensibile l’iniziativa del Tribunale Penale Internazionale di perseguire Israele per presunti crimini di guerra.